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1984/1999: anni duri per un tifoso dell'AS Roma. Anni in cui spesso si vinceva poco, e non stiamo parlando di trofei, ma proprio di partite. Anni di sconfitte che hanno lasciato ferite mai rimarginate, in cui al posto della Champions League c'era la Coppa Italia. Anni in cui andare a vedere una partita dal vivo era sicuramente più pericoloso di oggi, ma lo stadio si riempiva sempre e comunque, perché non ci si poneva nemmeno la domanda se ne valesse la pena. Chi era sugli spalti si sentiva protagonista, convinto che ogni punto sarebbe dipeso anche dal suo contributo vocale o coreografico, e i giocatori erano apprezzati e valutati per la grinta che mettevano in campo, non per il numero di follower. L'attaccamento alla maglia non era una frase fatta, e chi dimostrava di averlo riusciva a creare un legame con la gente che sarebbe durato più della propria carriera. Chi veniva a vedere una partita all'Olimpico aveva occhi innanzitutto per la Curva Sud, quasi incidentalmente guardava il gioco. E quando partiva il coro "Che sarà sarà", speranze e sogni tornavano a mischiarsi tra fumogeni e bandiere giallorosse.